Le nostre orme

Nel suo procedere la vita si manifesta attraverso il movimento; il viaggio dell’uomo è anch’esso movimento costante alla ricerca delle proprie orme perdute. È come se la vita di ognuno fosse una imponente vallata ricoperta di neve morbida, soffice e fresca, ancora non calpestata da alcun passaggio. Il destino, Sé o anima, pone i suoi piedi sulla vallata lasciando leggere orme, ma incancellabili, sulla neve; tali orme sono indice della strada che dobbiamo percorrere, il motivo per cui siamo nati, sono le tracce che ricercheremo durante la vita. A un certo punto però la vallata comincia a popolarsi di altre persone che non rispettano la sacralità del posto e con i loro piedi giganti sporcano la vallata con centinaia di orme alternative che confondono il nostro viaggio, creano tragitti diversi molto visibili e che spesso siamo costretti a seguire anche se non sappiamo dove portano. Ci ritroviamo così a girare a vuoto lungo vortici e cerchi infiniti di passi umani altrui che a poco a poco diventano i nostri e non troviamo il modo di uscirne, tanto da far sì che continuamente le situazioni si ripetano. Essere in questa condizione non è certo uscire dal canale giusto del nostro parto psichico, ma rimanere ancora nel ventre materno che però non è più in grado di alimentarci come prima, ma addirittura ci invia attraverso il cordone ombelicale il suo latte ormai avariato.
I solchi lasciati dalle orme altrui diventano le nostre prigioni psichiche o come dice Alberti le nostre “case patologiche”, che se da una parte ci rassicurano e ci danno una direzione, dall’altra ci trattengono lontani dalla nostra vera strada. Invece di camminare in avanti questi percorsi alternativi procedono in senso circolare e dopo lungo peregrinare ci ritroviamo sempre al punto di partenza. Presto ci affezioniamo a queste prigioni e cominciamo a renderle sempre più sicure, più nostre, le trasformiamo in fortini invalicabili, protetti da eserciti di mostri nutriti dalla nostra paura di uscire. È proprio la paura che impedisce il procedere, che invischia le nostre capacità, che ci attira nella sua tana e ci promette luoghi sicuri dove nessuno ci farà soffrire, ma proprio quella tana è la vera sofferenza, è l’impossibilità di vedere la luce.